50 anni dalla tragedia del Vajont

Sono passati 50 anni dalla sera del 9 ottobre 1963, in cui un grande corpo roccioso della dimensione di quasi 300 milioni di metri cubi, si stacco dalla fiancata del Monte Toc (nella vallata del Vajont), precipitando nel bacino artificiale da poco creato con una diga in calcestruzzo.La massa d’acqua, colpita del cumulo di roccia e detriti, generò un onda di piena eccezionale mista di acqua e fango, che scavalcò la diga, incanalandosi nella stretta e ripida gola che si apriva sulla vallata, annientando gran parte dei centri abitati di Longarone, Villanova, Faè, Rivalta Pirago, Codisago e Castel Gavazzo.

Le vittime furono più di 1900, ed oggi a 50 anni di distanza riposano nel cimitero monumentale della frazione di Fortogna, nella quiete inconsapevole di chi pagò per un disastro annunciato e mai fino in fondo digerito da chi perse oltre che i propri cari anche il proprio territorio, letteralmente spazzato via dalla furia della natura incautamente incatenata. Le cause che portarono a questo tragico esempio di errato sfruttamento del territorio, furono da imputare all’eccessivo utilizzo del bacino artificiale da parte dell’ente che ne curava la gestione(la SADE Società Adriatica di Elettricità); la presenza di un considerevole volume di acqua sui piedi dell’instabile Monte Toc (la frana che generò il disastro fu la riattivazione di un precedente fenomeno gravitativo già avvenuto, una paleofrana) e le abbondanti precipitazioni, innescarono la caduta di un volume di materiale doppio dell’acqua contenuta nel lago artificiale. Ma l’instabilità geologica del luogo era in realtà piuttosto chiara e famosa per progettisti e costruttori, in funzione del fatto, che prima del 63’ c’erano state svariate avvisaglie che avevano messo in guardia l’intero sistema progettuale, ma che disinteressato delle potenziali tragiche conseguenze portò avanti un progetto davvero ambizioso per l’epoca e per il territorio: la costruzione della diga più alta del mondo. Ancor più grave è che la presenza del pericolo frana del Monte Toc (che tra l’altro in friulano viene dall’abbreviazione di patoc, ovvero… : marcio) era noto al punto tale che per molti si trattava di capire solo quando e in che quantità si sarebbe generato il movimento franoso; il problema grosso è che a tali considerazioni fu associata una prova di innalzamento dell’invaso ad una quota superiore ai 700 m slm, quota indicata come limite di sicurezza. La vicenda processuale portò nel tempo a condanne per la effettiva prevedibilità dell’evento, oltre per il fatto che la zona, nonostante valori di monitoraggio chiari non fu fatta evacuare, condannando di fatto gli abitanti della vallata ad una terribile fine. L’Abruzzo si intreccia alle vicende del Vajont attraverso il cammino giuridico che il disastro ebbe, partendo dall’apertura del processo che avvenne a L’aquila il 29 novembre del 1968, e passando per quell’incredibile salvataggio degli incartamenti (il “fondo Vajont”) dal sisma dell’Aquila del 2009, salvo grazie al guscio blindato che lo conteneva, nonostante i danni subiti dall’archivio di stato. La tragedia del Vajont ha condotto il Parlamento italiano ha scegliere la data del 9 ottobre quale “Giornata nazionale in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall'incuria dell'uomo”; affinché le tragedie passate possano essere un monito verso tutte le figure professionali impegnate nella progettazione di opere al servizio dell’uomo e del suo sviluppo.


http://www.vajont50.it/

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